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sabato 24 gennaio 2009

IL LIBRO - III puntata


III puntata

Alex Haley
- Radici



Parlo oggi di questo romanzo non a caso. L'elezione di Obama ha condotto tutti noi a profonde riflessioni sui cambiamenti avvenuti nel corso della storia.
Il libro che sto per proporre può aiutare ad avvertire maggiormente la portata di un evento che, al di là dei futuri sviluppi, porta con sè la carica di un' immane svolta.


Roots: The saga of an American family.
Il romanzo dello scrittore afroamericano Alex Haley esce nel 1976 e nanna la storia della sua famiglia.
Personaggio chiave della vicenda è Kunta Kinte, originario di Juffure, villaggio del Gambia, da cui nel 1767, a soli sedici anni viene rapito mentre gironzola per il bosco alla ricerca del legno per costruire un tamburo.
La sua vita semplice, pura, ricca di tradizioni ancestrali, vissuta a contatto con la natura, intensa e sapienziale viene sconvolta da questo avvenimento. Egli viene condotto verso l'America in uno sfiancante e stravolgente viaggio all'interno della stiva di una nave, venduto in un'asta di schiavi, costretto a lavorare nelle piantagioni; tenta ripetutamente la fuga, viene terribilmente punito, soffrirà e lotterà ancora, avrà dei figli, andrà avanti, narrerà la sua storia....non tornerà mai alla sua terra.

Ho comprato questo libro per soli 2 euro da una bancarella del libro usato.
Ricordo lo sceneggiato che già molti anni fa mi aveva colpito, per la tenacia del protagonista che si ostinava a non rinnegare il proprio nome, Kunta Kinte, a favore del nome americano datogli dal suo padrone: Toby.
Il libro è emozionante e forte; il senso di ostinata ricerca che caratterizza il protagonista, strappato alla sua terra, ai suoi affetti, per essere trasportato in un ambiente diverso e ostile, trattato come un oggetto da poter vendere e gestire senza rispetto verso il suo mondo interiore, il suo dolore e i suoi desideri. La purezza incontaminata di quella sua terra d'origine e il suo desiderio incessante di farvi ritorno... un senso di angoscia mi ha pervasa nella lettura.
Pensate a quando noi stessi, nel trovarci imbottigliati nel traffico, per strada in un giorno di pioggia, incastrati nell'autobus stracolmo in un'afosa giornata di agosto, in un luogo dove ci annoiamo o che ci risulta ostile, desideriamo con tutti noi stessi venirne fuori, tornare a casa, ritrovare il sollievo.....già una situazione del genere ci rende astiosi, smanianti, perfino depressi, disperati.
Pensate a cosa vorrebbe dire non riuscirvi mai: restare PER SEMPRE imbottigliati lì, incapaci di fuggire, impediti nel poter godere della nostra vita. Questa è la sensazione che mi ha dato la lettura di questo romanzo, che non è fantasia, ma un resoconto angolare di quel che è avvenuto nel XVIII secolo a molti uomini che per il semplice fatto di essere di colore, di vivere in una terra incontaminata, all'apparenza selvaggia, incivilizzata, furono trasportati loro malgrado in una non - vita alternativa, avviluppati in quella vita, incastrati come la mosca in una ragnatela che soffoca senza ucciderti, ti lascia cosciente quel tanto che basta per indurti alla disperazione.
Kunta Kinte avrà un solo modo per tornare al suo Gambia: narrare disperatamente e senza sosta le sue storie, rimoltiplicare i suoi ricordi, per renderli imperituri, con i suoi figli e i figli dei suoi figli.
Finchè Alex, suo discendente, colui che ha scritto questa storia, deciderà DOPO 200 ANNI, di visitare la terra dei suoi antenati per ritrovare le proprie radici.
Solo così Kunta Kinta potra fare ritorno, tramite Alex, alla sua terra. Solo così potrà, simbolicamente, aver fine la sua agonia, la sua prigionia.

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