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martedì 25 gennaio 2011

Acciaio - Recensione

Appena terminata la lettura di un libro che ha fatto molto discutere: "Acciaio", di Silvia Avallone.
Approcciandolo avvertivo il rimescolio interno di quel pregiudizio che nasce dall'aver ascoltato, prima di conoscere, molti giudizi.
Giudizi e opinioni diverse fra di loro, le polemiche seguite al Premio Strega, la delusione di chi si aspettava un capolavoro e un capolavoro non ha trovato.
La delusione di chi lo reputa un capolavoro e non accetta la stroncatura di chi questo capolavoro non riesce a trovarlo.


Di seguito la mia opinione:

il libro ha alcuni pregi.
C'e' una certa maestria nel descrivere la vita monotona e noiosa di una piccola citta', in cui in realta' nulla succede e quel poco che succede e' scandito dai turni di lavoro e dalle ripetitive azioni di una quotidianita' grigia.
C'e' una certa mestria narrativa nel riportare con crudezza le vicende di adolescenti annoiati, alla ricerca di qualcosa di grande, diverso, ma incapaci in realta' di misurarsi con quel che grande e diverso lo e' davvero.
C'e' una certa mestria nel descrivere i paesaggi e le emozioni dei personaggi e nel suscitare qualche emozione, in particolare evocativa, nel lettore.

Il problema risiede pero' appunto in quella parola: evocativa.
Io sono nata nel 1982, le protagoniste del romanzo nel 1987,abbiamo vissuto la nostra infanzia e adolescenza in un contesto temporale pressocche' identico, fatto degli stessi avvenimenti, delle stesse canzoni, degli stessi cibi.

L'11 Settembre 2001 io avevo 19 anni, loro 14.

Ritrovare all'interno del libro suggestioni relative al proprio vissuto, al proprio passato, ai propri ricordi legati agli anni '90 e ad accadimenti comuni e' facile per me.

Ma a questo punto mi chiedo: risiede questo nella maestria dell'autore o e' giocoforza qualcosa che accade dentro di noi ogniqualvolta ci riconosciamo in qualcosa che fa parte del nostro passato e che condividiamo con il personaggio che vive nella carta?
Un 14enne di oggi, nato nel 1997, che ricorda ben poco della caduta delle Torri Gemelle, proverebbe le stesse emozioni in quella descrizione?
Un 63enne di oggi, che, verosimilmente, non si e' mai fatto riempire l'estate dalle canzoni di Corona, essendo la sua memoria musicale legata a ben diverse melodie, e che ha raramente masticato Big Babol panna e fragola, si riconoscerebbe in questi dettagli fino ad emozionarsi?


Durante le lettura e' stato questo uno dei primi limiti del romanzo in cui mi sono imbattuta. Il dubbio che, nella sua capacita' di suscitare alcuni sentimenti, sia in grado di farlo universalmente o solo se applicato al giusto lettore, dove per giusto si intende il lettore di una certa fascia d'eta', nato non prima del 1976 e non piu' tardi del 1988, possibilmente proveniente da un simile contesto.
Ma, sebbene possa essere uno dei limiti, direi che questo e' forse il minore e meno rilevante.
In fondo, dove sta scritto che un buon libro debba essere in grado di arrivare a tutti, indistintamente?


Ci sono pero' altri elementi, talmente esasperati che mi hanno quasi affaticata durante la lettura.
E sono proprio le esasperazioni!
Un' esasperazione di tutto, esasperata ed esasperante al punto da diventare fastidiosa e in parte annullare o controbilanciare negativamente le belle descrizioni e i momenti di buona scrittura.
L'esasperazione della bellezza delle protagoniste, talmente reiterata e portata all'estremo da risultare assurda e ridicola.
(Sorvoliamo sulla peluria BIONDA e soffice delle braccia della MORA Anna, una cosa che personalmente non ho mai visto in natura!!!!!!!!!)

L'esasperazione del sesso. Sesso ovunque. Sesso in Enrico che guarda la figlia 13enne dal binocolo, sesso nei calendari di Max sparsi ovunque, sesso in ogni luogo e in ogni momento, sesso in ogni pensiero, in ogni frase, quasi in ogni pagina.
E' dovunque, spunta in qualsiasi contesto, e' continuo, insistente, animalesco, assurdo, innaturale, troppo troppo troppo. E forse, proprio li' dove sarebbe stato necessario un riferimento al sesso, non c'e'.
E' fastidioso, diventa onnipresente, inutile, noioso!


L'esasperazione degli stereotipi. Per carita', gli stereotipi esistono ed e' un pregio saperli descrivere, ma su 10 personaggi si auspica che qualcuno sia stereotipato, qualche altro no (come succede un po' nella vita). In questo romanzo tutta la vita e' stereotipata. Non c'e' via d'uscita.


L'esasperazione del negativo.


Non mi associo al coro di commenti che hanno stroncato il libro, perche' diversamente da altri romanzi di oggi, ne emerge una certa maestria e consapevolezza nell'uso della scrittura.
Ma oltre questo il mio commento non puo' essere positivo, visto il senso di fastidio che ha generato in me dalla prima all'ultima pagina.


Per l'ennesima volta, si conferma quest'anno il reiterarsi, appunto l'esasperazione, di una letteratura giovanile che ci impongono, ma che proprio non va.

E' un peccato.