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domenica 8 maggio 2011

Un Dono per la Terra - Racconto


Un Dono per la Terra
In un tempo lontano, su una scogliera lontana, vivevano il Cielo e la Terra.Il Cielo amava la Terra e viaggiò in lungo e in largo alla ricerca di un dono che fosse degno di lei. E il Cielo continuò a cercare e s’imbatté nelle Primule: “Donatemi i colori dei vostri petali, affinché possa darli alla Terra”, ma le Primule negarono: “Essi appartengono alle farfalle e alle api e noi non possiamo disporne”. E il Cielo proseguì, rattristato, e s’imbatté nelle Farfalle: “Datemi i colori delle vostre ali, affinché possa donarli alla Terra”, ma le Farfalle fuggirono via: “Non possiamo disporne, perché essi appartengono al Tempo”. E, giunto in una foresta, s’imbatté nel Pavone. “Dammi i colori delle tue piume” chiese il Cielo: “Affinché possa donarli alla Terra.” Ma il Pavone rispose: “Questi colori non appartengono a me ma alla Natura che me ne ha fatto dono e non posso disporne”. E il Cielo si recò dalla Natura: “Concedimi i tuoi colori affinché possa donarli alla Terra”. “Non posso disporne” rispose la Natura “Poiché essi non appartengono a me ma alla Vita”. E il Cielo si rifugiò desolato presso il Mare: “Concedimi il tuo colore, perché possa farne dono alla Terra”. Ma il Mare mugghiò e s’increspò e disse: “Esso non mi appartiene, ma mi viene dal Cielo”. Il Cielo fu turbato nell’udire quella risposta e si interrogò a lungo su quale dono fosse degno della Terra e si rivolse al Sole: “Donami la tua luce perché possa farne dono alla Terra”. Ma il Sole sorrise e disse: “Tu non puoi donare alla tua sposa quel che già possiede. Non posso disporre della mia luce perché essa appartiene alla Terra”. Il Cielo, sconsolato, corse via e si rifugiò in un bosco. E qui s’imbatté in un Uomo intento a riempire una tela bianca di colori e sfumature. Il Cielo ne fu colpito e gli si avvicinò: “Perché il Sole, la Natura, il Mare e tutte le Creature hanno rifiutato a me che sono il Cielo i loro doni, e li hanno invece concessi a te, che sei solo un uomo?” domandò adirato e dispiaciuto. Ma l’Uomo rispose con umiltà: “Signore, quel che vedi su questa tela ti inganna. I colori che vedi sono frutto della mia mente poiché la Terra non può privarsi dei suoi doni, ma mi ha concesso la Fantasia, affinché possa venire in essere quel che intorno a me è già in potenza”, e l’Uomo donò al Cielo la sua Tavolozza e il suo Pennello. “La tela la possiedi già” disse con un sorriso. Il Cielo tornò sulla scogliera e, felice, implorò la Fantasia di venire in suo aiuto, ed Ella venne. Lasciò scivolare i colori giù dalla Tavolozza e attraverso le Nuvole, chiese alla Pioggia di cadere per rimescolare i colori, e al Sole di illuminarli per dare luce alla sua opera.
Quel giorno il Cielo creò il suo dono per la Terra e lungo la sua tela azzurra fino all’ultimo orizzonte, risplendette l’Arcobaleno.
Marta Fanello

martedì 25 gennaio 2011

Acciaio - Recensione

Appena terminata la lettura di un libro che ha fatto molto discutere: "Acciaio", di Silvia Avallone.
Approcciandolo avvertivo il rimescolio interno di quel pregiudizio che nasce dall'aver ascoltato, prima di conoscere, molti giudizi.
Giudizi e opinioni diverse fra di loro, le polemiche seguite al Premio Strega, la delusione di chi si aspettava un capolavoro e un capolavoro non ha trovato.
La delusione di chi lo reputa un capolavoro e non accetta la stroncatura di chi questo capolavoro non riesce a trovarlo.


Di seguito la mia opinione:

il libro ha alcuni pregi.
C'e' una certa maestria nel descrivere la vita monotona e noiosa di una piccola citta', in cui in realta' nulla succede e quel poco che succede e' scandito dai turni di lavoro e dalle ripetitive azioni di una quotidianita' grigia.
C'e' una certa mestria narrativa nel riportare con crudezza le vicende di adolescenti annoiati, alla ricerca di qualcosa di grande, diverso, ma incapaci in realta' di misurarsi con quel che grande e diverso lo e' davvero.
C'e' una certa mestria nel descrivere i paesaggi e le emozioni dei personaggi e nel suscitare qualche emozione, in particolare evocativa, nel lettore.

Il problema risiede pero' appunto in quella parola: evocativa.
Io sono nata nel 1982, le protagoniste del romanzo nel 1987,abbiamo vissuto la nostra infanzia e adolescenza in un contesto temporale pressocche' identico, fatto degli stessi avvenimenti, delle stesse canzoni, degli stessi cibi.

L'11 Settembre 2001 io avevo 19 anni, loro 14.

Ritrovare all'interno del libro suggestioni relative al proprio vissuto, al proprio passato, ai propri ricordi legati agli anni '90 e ad accadimenti comuni e' facile per me.

Ma a questo punto mi chiedo: risiede questo nella maestria dell'autore o e' giocoforza qualcosa che accade dentro di noi ogniqualvolta ci riconosciamo in qualcosa che fa parte del nostro passato e che condividiamo con il personaggio che vive nella carta?
Un 14enne di oggi, nato nel 1997, che ricorda ben poco della caduta delle Torri Gemelle, proverebbe le stesse emozioni in quella descrizione?
Un 63enne di oggi, che, verosimilmente, non si e' mai fatto riempire l'estate dalle canzoni di Corona, essendo la sua memoria musicale legata a ben diverse melodie, e che ha raramente masticato Big Babol panna e fragola, si riconoscerebbe in questi dettagli fino ad emozionarsi?


Durante le lettura e' stato questo uno dei primi limiti del romanzo in cui mi sono imbattuta. Il dubbio che, nella sua capacita' di suscitare alcuni sentimenti, sia in grado di farlo universalmente o solo se applicato al giusto lettore, dove per giusto si intende il lettore di una certa fascia d'eta', nato non prima del 1976 e non piu' tardi del 1988, possibilmente proveniente da un simile contesto.
Ma, sebbene possa essere uno dei limiti, direi che questo e' forse il minore e meno rilevante.
In fondo, dove sta scritto che un buon libro debba essere in grado di arrivare a tutti, indistintamente?


Ci sono pero' altri elementi, talmente esasperati che mi hanno quasi affaticata durante la lettura.
E sono proprio le esasperazioni!
Un' esasperazione di tutto, esasperata ed esasperante al punto da diventare fastidiosa e in parte annullare o controbilanciare negativamente le belle descrizioni e i momenti di buona scrittura.
L'esasperazione della bellezza delle protagoniste, talmente reiterata e portata all'estremo da risultare assurda e ridicola.
(Sorvoliamo sulla peluria BIONDA e soffice delle braccia della MORA Anna, una cosa che personalmente non ho mai visto in natura!!!!!!!!!)

L'esasperazione del sesso. Sesso ovunque. Sesso in Enrico che guarda la figlia 13enne dal binocolo, sesso nei calendari di Max sparsi ovunque, sesso in ogni luogo e in ogni momento, sesso in ogni pensiero, in ogni frase, quasi in ogni pagina.
E' dovunque, spunta in qualsiasi contesto, e' continuo, insistente, animalesco, assurdo, innaturale, troppo troppo troppo. E forse, proprio li' dove sarebbe stato necessario un riferimento al sesso, non c'e'.
E' fastidioso, diventa onnipresente, inutile, noioso!


L'esasperazione degli stereotipi. Per carita', gli stereotipi esistono ed e' un pregio saperli descrivere, ma su 10 personaggi si auspica che qualcuno sia stereotipato, qualche altro no (come succede un po' nella vita). In questo romanzo tutta la vita e' stereotipata. Non c'e' via d'uscita.


L'esasperazione del negativo.


Non mi associo al coro di commenti che hanno stroncato il libro, perche' diversamente da altri romanzi di oggi, ne emerge una certa maestria e consapevolezza nell'uso della scrittura.
Ma oltre questo il mio commento non puo' essere positivo, visto il senso di fastidio che ha generato in me dalla prima all'ultima pagina.


Per l'ennesima volta, si conferma quest'anno il reiterarsi, appunto l'esasperazione, di una letteratura giovanile che ci impongono, ma che proprio non va.

E' un peccato.