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domenica 16 novembre 2008

Dal "Monologo di una goccia di pioggia"

La nube più prossima a me si avvicina con rapidità. Attraversarle mi empie di terrore. Da qualche tempo il passaggio è sempre meno indolore; è lancinante. Ardo; il mio essere è stiracchiato; ciò di cui son fatta si dissolve per poi ricomporsi e tutto questo non è senza conseguenze. Se potessi, se possedessi degli occhi, come gli uccelli, verserei lacrime. Non posso fare altro che trattenere il respiro ed attendere che il dolore passi in fretta.

Ultimamente ho perso memoria di ciò che ero un tempo; ho perduto la mia levità. Mi sento pesante e gonfia, come una bolla d’aria che stia per esplodere, fremendo. L’estasi è quasi finita; sempre più spesso avverto angoscia e tristezza. Ho paura. Che stia per concludere il mio soggiorno qui, pronta a deflagrare su me stessa?

Non ricordo come sia nata; potrei essere il risultato del frantumarsi di una particella che, come me, prime di me, giunta al culmine, si sia squarciata.

Che fantasia! In fondo il turgore che avverto è solo la conseguenza del freddo intenso che scorre per il cielo in questo momento. Non c’è di che preoccuparsi; presto tornerò come prima.

E’ solo quella nuvola che mi mette in ansia: sta lì in agguato, finge di fermarsi e poi si riavvicina minacciosa e non posso fuggire, bensì solo attendere che passi di qui e mi ingurgiti, per la tortura che mi aspetta.

Stavolta può darsi che io non soffra. Affronterò a testa alta la nube, e dopo esserne venuta fuori, ritroverò il mio usuale stato.

Vorrei degli occhi, per poterli chiudere; per coprire la vista di lei che mi sovrasta: è esageratamente buia e gonfia, come me; boriosa mi viene addosso e fisso lo sguardo altrove, mentre avverto il risucchio strepitoso che mi conduce al suo interno.

Mi attrae, mi tira, mi rapisce; divengo sempre più piccola mentre trapasso la massa vaporosa; infine sono dentro di lei; eppure è come se fosse il contrario. Da un momento all’altro avrà inizio il dolore…Ma non ancora…

L’orrore mi invade; da quanto tempo sono intrappolata qui? La nube mi ha inghiottita, e ci ero abituata, ma questa volta non posso distinguermi da lei, i nostri esseri si compenetrano. Lei fa parte di me, io di lei. Io sono lei!

Non vi è alcun confine o linea di separazione tra i nostri corpi, e non era mai avvenuto: mi ha fatta sua, vuol condurmi via, chissà dove.

Che fosse vera la storia di cui l’antica nube parlava? Particelle in trappola, non più libere, costrette a sostare tra i suoi vapori, avvinghiate al nulla, incastrate a qualcosa di inconsistente.

Desidero piangere…ma, odo dei suoni.

Provengono dall’alto e dalle profondità; da lontano e da dentro di me. Come un canto confuso e senza posa si spande circondandomi. Ed io stessa emetto tali suoni; per la prima volta una voce esprime i miei pensieri, ed è mesta, piatta e disperata, mista a mille altre, altrettanto patetiche, tutte uguali.

Un concerto indecifrabile viene eseguito; il suo tono è dolente. Le nostre voci ignote, tessute dal vapore che va dilatandosi, si intrecciano, avanzando nel gelido, plumbeo candore della nube, rimoltiplicandosi a migliaia; variando direzione per poi convergere in un punto, il nostro essere teso e vitreo.

Un pianto messo in musica; il canto di esseri privi di forma e volontà, costretti ad annullarsi nel cuore di una nuvola, per divenire nuvole.

Da "Storie di Oggetti Inanimati", ed. Montedit.

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