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sabato 17 aprile 2010

Scrittore o scribacchino? Prima Riflessione

Nell'attuale panorama scrivente una cosa mi colpisce su tutte.
La ritrovo all'interno dei blogs di autori famosi e meno noti, strisciando accanto a interviste più o meno verosimili rivolte a editor/lettori professionisti/correttori di bozze, curiosando sul web fra concorsi letterari e forum per aspiranti scribacchini.
Scribacchino non è un termine dispregiativo che uso per sminuire una passione che è anche mia, bensì una sorta di sacco magico contenente talenti, vizi e virtù di una popolazione abituata male; un sacco da cui, di tanto in tanto, qualcosa di vero, qualcosa che si possa definire Scrittore, emerge.
E' un termine che mi piace usare per sottolineare come, a mio parere, oggi venga considerato colui che desidera fare lo scrittore.
E troppo spesso mi ritrovo a pensare che, in fondo, è un termine corretto, e non a torto viene attribuito.
La cosa che ritrovo e che mi colpisce (tanto per tornare al punto primo) è la corrente di pensiero che sembra vada inondando le menti di coloro che, appunto, "sognano di fare gli scrittori".
Mi sono imbattuta troppo spesso in frasi del tipo:
-un manoscritto deve in primo luogo dare emozioni- un manoscritto deve colpire e toccare, se colmo di errori non ha importanza- la cura formale non è importante quanto l'emozione- il lavoro di cura del dettaglio è una cosa che riguarda soprattutto l'editor e il correttore di bozze- nessuno fa caso agli errori dinanzi a una storia che funziona-!
Questo è quel che dicono molti aspiranti scrittori.
Ecco la contropartita di frasi pronunciate invece da editors e compagnia bella:
-troppo spesso ci arrivano maree di manoscritti scritti male- su 1000 manoscritti che riceviamo solo un paio sono meritevoli-se un manoscritto è illeggibile, per quanto bella possa essere la storia, mi rifiuto di leggera-riceviamo manoscritti sgualciti senza un minimo di cura-riceviamo manoscritti non richiesti e su tematiche non richieste.
Ora, attraverso questi disorganici, sfuggenti, spesso incompleti, scarsi dettagli, ecco lo scenario che mi si prospetta.
Migliaia di persone che ritengono la scrittura un mezzo per sfogare istinti e passioni, qualcosa che può funzionare solo qualora vi sia una buona dose di emozione accompagnata a un pizzico di fortuna; per emozione non sempre si intende quel particolare che fa brillare gli occhi o fremere, ma quel semplice riconoscersi nel quotidiano che speciale successo conferisce alle storie giovanil-depressive che tanto vanno di moda oggi.
Migliaia di persone che buttano giù queste storie, la maggior parte delle volte senza darsi la pena di inventarle, ma attingendole direttamente alle loro esperienze personali, perché fa più "tormento-style" e, senza curarsi affatto della forma, dell'impaginazione, di una eventuale suddivisione in capitoli, di quella cura che consente a chi lo leggerà di non doversi barcamenare tra assenza di virgolette e di consonanti smangiucchiate e le spediscono infine allo sbaraglio a tutte le case editrici possibili, o a molte di esse, comprese quelle che pubblicano esclusivamente libri sulla cucina giapponese.
Scarsa cura della storia, scarsa cura del dettaglio, scarsa cura per il lavoro altrui, scarsa cura nell'incanalare le forze verso il giusto obbiettivo.
La scrittura, da questo punto di vista, è una terno al lotto in cui a vincere dovrebbe essere l'emozione.
Un'emozione sepolta da coltri di pagine sgualcite, manoscritti, lettere mancanti, che, nella sua augusta potenza, emerge gloriosa perché viva; e questo ha la stessa probabilità di accadere di quella che ha un ago di riuscire a farsi strada fra migliaia di pagliuzze che lo soffocano fino a giungere in superficie.
Sto ancora riflettendo sulle tendenze che sminuiscono la scrittura a livello di hobby e non le conferiscono quella dignità derivante dalla cura e dal metodo...
Continuerò a interrogarmi.

Precisazione finale: tutto quel affermo è frutto di una mia personalissima opinione, e non vuole in alcun modo assurgere al ruolo di verità assoluta.


2 commenti:

  1. Beh, vedi... Lo scrittore è colui che scrive, non colui che pubblica. Colui che pubblica è uno "scrittore di professione" ma nulla toglie a colui che non pubblica di essere comunque "scrittore".

    Lo scribacchino è un'altra cosa. Lo scriba era colui che prendeva nota delle parole pronunciate da altri. Una persona che trascrive concetti/idee/pensieri prodotti da altre persone.

    E comunque... essere scrittore "impone", secondo me, la conoscenza della lingua. Scrivere migliaia di pagine senza conoscere le regole basilari del nostro linguaggio (grammatica e quant'altro). Io stesso ho avuto modo di leggere qualche manoscritto di amici e... senza virgole, punti, e un briciolo di impaginazione... beh, non ce l'ho proprio fatta a leggerli.

    Insomma... se uno vuole scrivere la propria storia, per lo meno si impegni a scriverla al meglio delle sue possibilità e, non buttando giù parole a casaccio. Da questo punto di vista gli Editor hanno pienamente ragione! :)

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  2. Senza dubbio che lo Scrittore è colui che Scrive, non colui che pubblica.
    Concordo appieno, anche perché possiamo senza dubbio ritenere che molti fra coloro che pubblicano non siano Scrittori.
    Ma lo Scrittore, che pubblichi o no, è tale (e uso non senza motivo la maiuscola) per la cura e l'attenzione, la meticolosità che mette in ciò che fa.
    Anche io mi diletto a disegnare e, anche qualora riuscissi a organizzare una mostra dei miei disegni, non oserei definirmi Pittrice, perché del pittore non ho le competenze, il talento, né la consapevolezza. Se però mi definissi Pittrice e il pubblico e la critica mi acclamassero come tale, la definizione reale di Pittore verrebbe meno e tutti coloro che lo sono davvero verrebbero degradati al mio stesso livello, finendo nel grande calderone di "coloro che dipingono o scarabocchiano". E io credo che questo stia lentamente avvenendo allo Scrittore, lentamente trascinato per la coda nel calderone di "coloro che scrivono o scribacchiano".

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